L’idea alla base di questa newsletter era raccontare a quante più persone possibili quanto gli Stati Uniti, al di là del loro volto scintillante, siano un posto grande e complicato, spesso pieno di cose bellissime ma anche di miseria, dolore, degrado, desolazione e, in una parola, problemi.
Forse le elezioni ve lo hanno raccontato con più chiarezza di quanto abbiamo fatto noi.
Noi che agli Stati Uniti non smettiamo di voler bene, anche se non abbiamo idea di cosa riserverà loro il futuro. Però sappiamo due cose. La prima è che il futuro, qualunque sia, gli Statunitensi se lo sono scelto e costruito con le loro mani, il che è una cosa molto americana. La seconda è che quel Paese lì ha una capacità di sorprendere e di sparigliare che nessun altro Paese ha. E anche questa volta ha sparigliato.
E come dice Michael Douglas nella commedia Il Presidente “Non è facile, l’America”.
Il risultato e la politica - A cura di Luciana Grosso
Ciao,
queste sono righe per me non sono semplici da scrivere. Chi di voi mi conosce personalmente o mi segue su Instagram o sulla newsletter La Spada nella Roccia sa quanto per me la politica sia una faccenda personale.
Io sono proprio convinta, ma convinta tanto, che la politica sia il modo che cambiare le cose. E in realtà ho pure ragione.
Solo che dimentico sempre che quando le cose “cambiano” non sempre lo fanno per come vorrei io.
E così, anche questa volta, la politica ha fatto il suo dovere. Ha cambiato le cose.
E pazienza se lo ha fatto in modo e in una direzione per me incomprensibili e pure un po’ spaventosi.
Ma il fatto che non le comprenda io non significa che non possiate comprenderle voi.
Il senso di questa newsletter era esattamente questo: darvi uno strumento per conoscere un po’ meglio quel Paese enorme e incasinato che sono gli Stati Uniti d’America.
Un Paese pieno di problemi, di dolore, di buchi, di miseria.
Raccontarvi che le persone dell’Arkansas o della Louisiana o della Florida che votano Trump hanno le loro ragioni. E non sta a noi giudicarle o biasimarle.
Vivere in America è difficile. Persino pericoloso. Basta prendere il bivio sbagliato della vita e tutto, ma proprio tutto, va a rotoli (ricordate la puntata sulla California?)
Questa difficoltà crea disagio e legittimo disorientamento. Disagio e disorientamento a cui i Democratici non hanno saputo dare risposte. O meglio sì, ne hanno date. Ma non sono bastate, perché non si capivano, non si vedevano, non si percepivano.
Il racconto di Trump, benché strampalato, scassato, incoerente, mendace, invece, è riuscito a toccare corde profonde delle persone. È riuscito a far sentire le persone comprese, capite, rappresentate. Protette, persino.
E pazienza se diceva cose senza senso. Secondo voi un grafico sul PIL alle orecchie di una persona normale ha senso? E pazienza se parla esplicitamente di smantellare gli Stati Uniti per come li conosciamo. Agli occhi di molte persone, negli Stati Uniti per come li conosciamo, non c’è niente da salvare, quindi, tanto vale smantellarli.
In molti numeri di questa newsletter, specie quelli dedicati agli Stati più “rossi”, come l’Oklahoma o l’Idaho o lo Utah, abbiamo cercato di raccontarvi come i trumpiani non siano dei bifolchi sciroccati, ma solo delle persone che le cose della vita hanno messo nelle condizioni di credere a quel messaggio lì, a quelle cose lì.
Persone che, nella stragrande maggioranza dei casi, sono ottime persone. Lontane anni luce dalla retorica tossica di Trump. E soprattutto dalla sua figura e personalità e del circo che si porta dietro.
Ma persone che comunque hanno scelto lui. O, comunque, non hanno scelto Harris, preferendo stare a casa.
Perché questa è l’analisi politica più importante da fare: Trump ha preso lo stesso identico numero di voti che aveva preso nel 2020: 74 milioni. Harris invece ne ha presi poco più di 70 milioni. Che sono circa 12 milioni di voti in meno di quanti ne avesse presi Joe Biden nel 2020. E questo significa che la gente, la fatica di uscire di casa per votare per Harris, non l’ha fatta. Per votare Trump sì. Per votare Harris e salvare la baracca, no.
E questo è successo anche in stati solidamente democratici, come la Virginia, New York, persino la California.
E quindi eccoci qui.
Da qui in poi è tutta terra sconosciuta. Non sappiamo cosa succederà all’America, non sappiamo cosa succederà a noi europei. Tutta terra inesplorata.
Ci vediamo presto.
Con voi e con l’America, prima o poi, da qualche parte.
Il risultato e la cultura - A cura di Marta Ciccolari Micaldi
Io e Luciana non ci confrontiamo mai prima su cosa scrivere, non lo abbiamo fatto per le 50 tappe del nostro viaggio e non è capitato neanche oggi. Ma finisce che, in conclusione, siamo sempre concordi e conseguenti. Incluso in questa ultima nostra riflessione. Una riflessione che personalmente non ho visto molto in giro.
E sarebbe questa: queste elezioni non sono state vinte da Trump perché ha vinto Trump, ma perché ha perso il Partito Democratico. E voi direte: grazie al… Ma il punto è proprio come si raccontano e si presentano i fatti. E i fatti sono i numeri, i milioni che hanno votato per l’uno o per l’altra: Trump in questa elezione non ha preso più voti rispetto a quella del 2020, ne ha presi esattamente la stessa cifra (al netto di piccole parti di nuovi segmenti della popolazione che ha conquistato e altri che ha perso). Sono stati i Democratici a perdere tra i 10 e i 12 milioni di voti, è stato questo il cambiamento rispetto al passato che ha determinato il risultato che conosciamo ed è da qui, a mio avviso, che bisogna fare alcune considerazioni.
Osservate in questo grafico di NBC il voto dei Nativi (American Indian) e quello degli altri (Other), tra cui ci sono gli Arabo-americani. Avete davanti agli occhi - in assenza, ovviamente - una parte di quei 10-12 milioni che sono rimasti a casa, oltre che una minuscola parte dei 74 milioni che ha scelto di distaccarsi da un Partito che ha ritenuto deludente o, quantomeno, poco credibile, per premiarne un altro in nome spesso non della logica - quella non vale più in questa America che calpesta i diritti di troppi - ma della risicata speranza di un cambiamento. (Nel 2020 gli stessi segmenti presentavano un vantaggio di Biden superiore ai 12 punti.)
Il dato che avrete già sentito commentare in questi giorni e che è interessante per capire dove i Dem hanno perso, inoltre, è quello delle persone di origine latina, un segmento - soprattutto nella sua declinazione maschile - che ha contribuito molto alla vittoria di Trump. Molto di più di quello Black, che invece si è mantenuto su livelli tutto sommato conformi agli scorsi anni e per il quale, quindi, Kamala Harris costituiva una concreta possibilità di rappresentazione. E poi ci sono gli elettori e le elettrici bianche (la stragrande maggioranza, il 71% di chi ha votato), di cui ci interessa in questo caso soprattutto il segmento dei giovani, da sempre tendenzialmente più favorevole a votare a sinistra (18-29 anni): tra di loro c’è stata una partecipazione al voto piuttosto inferiore alla tornata precedente, con un consolidamento deciso del favore verso Trump tra i maschi.
Con i numeri mi fermo qui, ma per chi vuole saperne di più rimando ai grafici di NBC e a tutti i maggiori network americani. Avete capito che perdere consensi in questi settori ha significato perdere in senso assoluto.
Torniamo allora al nostro viaggio. Torniamo con la memoria (o con un click) a Stati come l’Arizona e il Texas, in cui i problemi al confine con il Messico non sono conflitti ideologici, bensì problemi concreti, quotidiani, problemi legati in primo luogo al concetto di sicurezza (leggetevi questo, vi sarà subito chiaro cosa intendo) e secondariamente a quello di consolidamento del proprio status sociale (o sogno americano, che dir si voglia, si tratta sempre della stessa cosa: chi è arrivato negli States da più tempo deve dimostrare giorno dopo giorno di essere all’altezza di quel premio, con meno fattori possibili che li facciano sfigurare o incasinino le cose): è in relazione a queste necessità che tanta parte dell’elettorato non si è sentita rassicurata e considerata dalla proposta di Harris e ha preferito affidarsi alle tonanti promesse di Trump, seppur piene di parole e concetti violenti e contraddittori. Una cosa simile è accaduta - e accade da tempo - a chi vive in Arkansas, in Alabama, in Kansas, in Louisiana, in Georgia e in generale in quelle zone di tutto il Paese dove la gente normale (la cosiddetta classe media), che ha anche un lavoro e una casa, deve vedersela con il rincaro dei prezzi, la precarietà e la miseria, circostanze che fanno apparire i discorsi sull’aborto e sulla democrazia quasi una presa in giro. O, almeno, un lusso. È un attimo che qui si finisce per strada. È questa la sensazione percepita.
La società americana, lo abbiamo visto in tante declinazioni diverse, è una società feroce e difficile, mascherata da luogo delle mille possibilità (e anche piuttosto patriarcale, come ha dimostrato questo spot): sono troppi i se e i ma grazie ai quali puoi accedere a quelle possibilità e oggi la linea che divide i rossi dai blu sembra passare proprio attraverso la spartizione dei diritti e dell’accesso ai beni primari per il grosso della popolazione (cibo, istruzione, salute, stabilità, lavoro, benzina inclusa), ovvero la base del benessere di un Paese.
Il vero problema.
Da un lato la protezione dell’aborto e la rappresentazione delle donne nere, dall’altro la considerazione delle fasce meno stabili e la regolarizzazione dell’immigrazione; da un lato l’inclusione, dall’altro la protezione; da un lato la libertà di essere chiunque tu voglia essere (freedom, la parola più usata in campagna elettorale da Harris e i suoi), dall’altro la necessità di farlo seguendo dei sacrosanti punti di riferimento (e Trump per gli uomini, tanti, tanti uomini, è proprio questo, un modello).
Harris non è riuscita a ricucire questa linea, Trump l’ha esautorata. Harris ha perso, Trump ha vinto. Al di là dei meriti e dei demeriti dei due e alla luce di questo lungo e sfaccettato viaggio, non mi sono sorpresa. I 50 Stati - e tutte le geografie umane, culturali e sociali che li attraversano e li caratterizzano - non sono ancora pronti per essere uniti.
Grazie un’ultima volta per questo anno trascorso insieme! È stato bello, proprio.
La strada è ancora lunga, però: ci rivedremo di sicuro a un certo punto.
Luciana&Marta
Grazie a voi per queste 50 interessantissime newsletter
Ho apprezzato davvero tanto la chiarezza delle vostre informazioni non posso che dirvi BRAVE BRAVISSIME e aspettare di leggervi di nuovo
Promettete di fare ancora qualcosa insieme dai…..! Siete state una coppia perfetta e poi io Luciana la vorrei tanto conoscere…